La scuola, come sistema istituzionale, nel corso degli ultimi decenni è stata gradualmente depotenziata in termini di valore economico e, di conseguenza, anche in termini di valore umano. Trattata come un’azienda, la scuola oggi è il luogo in cui sul dirigente scolastico, non più il preside, ricadono tutte le responsabilità spesso espletate in maniera verticista. La scuola nel tempo si è trasformata in un’istituzione fortemente gerarchica che ha perso quella fisionomia di comunità educante, dinamica e democratica faticosamente conquistata attraverso l’attuazione dei principi della Costituzione mediante i decreti delegati degli anni ’70. Metodi autoritari hanno via via allontanato la possibilità di un’educazione democratica e inclusiva per tutte e tutti i partecipanti della comunità educante.
Il processo di crescita culturale e di apprendimento è continuativo nel tempo e nello spazio, è un processo che viene praticato da tutta la comunità. La scuola aziendalistica è l’esatto opposto: scarsa continuità dovuta ai lavoratori in perenne stato di precariato, intermittente o nessuna apertura al contesto in cui la scuola è inserita, sporadiche relazioni con i progetti di recupero e valorizzazione del tessuto sociale del territorio, infine una ingombrante burocratizzazione che si riproduce a ritmi sempre più serrati e sottrae quel minimo di umanità che ha il dovere di esistere in tutte le sue forme dentro la scuola. 
Nel corso dell’emergenza pandemica la scuola aziendalistica si è trovata impreparata. Impreparata sulle dotazioni e le competenze tecnologiche dei docenti e degli studenti. Impreparata su come approcciarsi alle disuguaglianze economiche delle famiglie e impreparata sugli effetti psicologici della pandemia e del lockdown sui docenti e sugli studenti a causa. 

Allo stesso tempo nella comunità educante ci sono tante e tanti che amano e hanno a cuore la trasmissione di conoscenze, la costruzione dei processi di apprendimento, la pratica del dialogo e del confronto democratico, dove la comunità educante è lo spazio in cui tutti e tutte crescere insieme: docenti, lavoratori, studenti, famiglie. 
Tuttavia questi attori della scuola hanno preso l’iniziativa e la parola, si sono alzati da soli nel lavoro quotidiano con l’unico obiettivo di costruire una scuola inclusiva e umana durante un’emergenza inaspettata.
Raccontano con le loro esperienze riuscite la loro idea di scuola, continuando a sostenerla. Cercano di interfacciarsi in qualche modo con le istituzioni, per far comprendere che la scuola deve essere ristrutturata, capovolta, e che questo forse è il momento giusto per farlo. 

Da educatrice che lavora in ambienti extrascolastici ho potuto osservare alcuni cambiamenti, ad esempio la possibilità di avere uno sportello psicologico dentro la scuola oppure quella di avere in comodato d’uso tablet per le famiglie economicamente più svantaggiate. 
Accanto a ciò tuttavia si è anche acuito il senso di chiusura della scuola.
In un momento in cui dovremmo essere uniti socialmente e distanti fisicamente, invece di inventare nuovi modi per fare didattica la scuola si è chiusa, si è ripiegata su se stessa, ha radicalizzato la sua distanza da chi è più fragile. 
Le superiori sono in dad per la maggior parte dei casi. I ragazzi che seguo come educatrice sono terrorizzati dall’idea di ritornare in presenza, perché al rientro ci sono solo verifiche e interrogazioni ad aspettarli.
Gli istituti comprensivi (materna-elementare-medie) sono rimasti aperti ma solo per studenti e docenti. L’altra parte della comunità educante è fuori dalla porta o in attesa di risposte che tardano ad arrivare per poter iniziare attività extracurricolari. 

Poi ci sono scuole che resistono, che continuano a prendersi responsabilità per avviare un cambiamento. Il problema è che lo facevano anche prima dell’emergenza pandemica e come prima sono la minoranza. 
I servizi dell’ambito extrascolastico continuano, con misure di prevenzione contro la pandemia, con pochi soldi e con più carico di lavoro.
I movimenti e le reti di educazione continuano a scrivere che la scuola può migliorare, può aspirare a qualcosa di meglio, di più e di diverso, ma quella dell’ascolto è una pratica non contemplata da parte delle istituzioni che della scuola e dell’educazione delle giovani generazioni dovrebbero prendersi cura.
Invece di investire e immaginare una nuova pedagogia e nuove metodologie didattiche, le istituzioni sembrano oggi chiuse nella gabbia della burocrazia, sempre più lontane dall’umanità di cui la scuola, anche con tutte le difficoltà, è stata sempre la culla.

Didascalie foto:
1. Presidio contro lo sgombero del Nuovo Cinema Palazzo e della sua aula studio. Novembre 2020
2/3.  Giovanni Castagno del Movimento di Cooperazione Educativa durante una lezione all'aperto con la sua classe.  Novembre 2020
4/5/6. Liceo Cavour in protesta per la riapertura in sicurezza.  Gennaio 2021
7/8. Studenti romani in piazza per una didattica in sicurezza e in presenza. Febbraio 2021
9. La consegna gratuita dei tablet da parte del doposcuola popolare del quarticciolo, per consentire la didattica a distanza. Aprile 2020
10/11/12/13. Gli studenti universitari mettono in campo una serie di iniziative, da un'aula studio all'aperto ad assemblee fuori dalla Sapienza. Ottobre 2020
14. Al Quarticciolo a Roma un bambino segue con il papà una lezione a distanza con il telefonino, all'aperto perchè in casa la linea è debole. Aprile 2020
15/16. Liceo Kant a Roma occupato. Gennaio 2021
17. Sara sistema i vestiti per i bambini e le bambine del doposcuola popolare di San Basilio. Luglio 2020
18. La scuola elemetare Guido Alessi  durante il primo lockdown. Maggio 2020

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