“The game”: la lotteria per entrare in Europa. È così chi lo affronta chiama l’ultimo step di un viaggio lungo anni, iniziato migliaia di chilometri prima in Pakistan, Afghanistan o in Siria e passato per Iran, Turchia, Grecia, Albania, Kosovo, Serbia ed infine Bosnia. Gli obiettivi finali sono i diversi stati europei, dipende dai contatti, dalle comunità pronti ad accogliere chi riesce ad arrivare almeno a Trieste.
La “Balkan Route” è la rotta più percorsa per arrivare in Europa (quasi 75.000 persone nel 2019 secondo l’Ultimo rapporto della UNHCR), che da anni vede centinaia di migliaia di uomini e donne attraversare barriere, controlli e frontiere. Bihac è un passaggio tra questi ostacoli, una piccola cittadina di 50.000 abitanti a qualche decina di chilometri dal confine con la Croazia.
Qua circa 5000 persone stazionano in accampamenti di fortuna, fabbriche abbandonate e pericolanti, parchi o fiumi, centri di accoglienza che somigliano a lager, in attesa del momento buono per infilarsi nei boschi, cercando di sfuggire alla caccia all’uomo della polizia e alle mine antiuomo della guerra serbo-croata. E quando vengono presi sono botte: braccia rotte, zaini bruciati e telefoni rotti o sequestrati. In attesa di essere pronti di nuovo e ritentare la fortuna. “The game”, appunto.
C’è chi ci ha provato anche 20 volte, avanti e indietro come in un limbo infinito, metafora perfetta e terribile di questa nostra Unione Europea che garantisce libertà di movimento solo a chi è abbastanza fortunato da avere i soldi o il documento giusto.
Purtroppo la Balkan Route è una vecchia storia, nell’ultimo decennio è stata quasi sempre la via più percorsa con diverse ondate: afghani, siriani, iracheni, poi di nuovo afghani, pakistani e indiani. A seconda delle guerre in corso, a seconda della povertà dei paesi. Nel 2015 e 2016 la tendenza delle rotte si è invertita: più arrivi via mare e meno via terra ma oggi è tornata come in precedenza, sette volte maggiori gli ingressi in Grecia che in Italia. I porti chiusi, l’altissima mortalità in mare, la guerra alle ONG, i lager libici e le torture hanno svuotato il Mediterraneo Centrale e per esempio oggi, per arrivare in Italia dall’Egitto, non si passa più dalla Libia ma via aerea in Turchia e da li a piedi lungo tutti i paesi balcanici.
La Rotta Balcanica così come il Mediterraneo Centrale rappresentano quindi solo dei passaggi, vie che portano verso l’Europa ma che ci ricordano che anche se si arriva vivi a destinazione poi si entra in un altro inferno, quello della non accoglienza, delle leggi razziste, dei Cie e Cpr, degli abusi delle Forze dell’Ordine e della grande solitudine nelle grandi metropoli.
Non solo mare quindi, ma un sistema più complesso che è importante capire e raccontare, perché l’emergenza non va gestita, va risolta. Mentre i governi degli ultimi 30 anni, da destra a sinistra, hanno lucrato e continuano a lucrare sull’accoglienza, sull’emergenza migranti, dimenticandosi colpevolmente che non c’è nessuna emergenza ma che, da sempre, gli esseri umani si spostano per il mondo.
Ce lo ricordano per esempio le rivolte nei Cpr di tutta Italia, in continuo aumento, campi di concentramento moderni, splendida invenzione del centro-sinistra (legge Turco Napolitano, legge n.40 del 6 marzo 1998) molto simili ai campi ufficiali lungo il confine bosniaco/croato.