“Dice che è troppo grande la nuova casa, ha paura di perdersi”. Kaula traduce divertita le parole del figlio. Otto anni, corre in strada appena vede la madre arrivare. Scorre le immagini sul telefonino e si lascia andare a commenti entusiasti. Le fotografie mostrano una casa vuota, priva persino dei sanitari: ma a Kaula non importa. Trentacinquenne tunisina in Italia da vent’anni, dal 2016 vive in 27 metri quadri con il marito e i figli di cinque, otto e sedici anni. Oggi tutte le loro cose sono su due camion, pronte per essere portate nel quartiere di Torre Maura: qui l’Ater ha destinato loro una casa di cento metri quadri.
La famiglia di Kaula è una delle sessantaquattro interessate dalla ristrutturazione delle palazzine di via Ugento, a Quarticciolo, periferia est di Roma. Un risultato arrivato dopo anni di lotta del comitato di quartiere, che ha obbligato le istituzioni ad assumersi responsabilità per troppo tempo disattese. “Molti ancora non credono a quello che sta succedendo”, afferma Alessia. Trentatré anni, ha studiato sociologia alla Sapienza di Roma e ora è titolare di una piccola libreria scolastica. Vive nella palazzina a sei piani che si staglia sulla piazza: un tempo casa del fascio, poi questura, ora è un’occupazione abitativa su cui svetta un murale dell’artista Blu. Nei seminterrati è attivo il doposcuola autogestito, accanto la palestra popolare. Intorno a questi due spazi lei e altre persone da alcuni anni organizzano attività, tra cui le distribuzioni alimentari durante il primo lockdown. “Dalla borgata per la borgata, insieme tutto è possibile” sono le parole che animano questo percorso politico. Da questo concetto è nato anche il comitato di quartiere, nel 2018, dopo lo sfratto di una famiglia che viveva in uno scantinato. "Le fogne straboccano, topi ovunque… dobbiamo combattere! Per la Costituzione italiana dovremmo avere diritto a una casa”, denuncia una donna durante un’assemblea del comitato.
Il Quarticciolo è un agglomerato di palazzine popolari gialle, divise da cortili, alcuni ben tenuti altri in stato di abbandono. Lasciandosi alle spalle la piazza si arriva a via Ugento, ‘le favelas’ come sono chiamati questi trecento metri. I muri scrostati e le finestre mancanti fanno intuire il motivo del soprannome. Dovevano essere abbattute nel 1998, per questo l’Ater spostò altrove gli assegnatari. Ma le palazzine rimasero lì, abbandonate e vuote: e divennero la casa, anche se malsana, di chi un tetto non ce l’aveva. “Questo quartiere ha circa seimila abitanti e dodici lotti di case popolari, di cui un quarto occupati, escludendo gli scantinati e le case di via Ugento, non considerate alloggi perché inagibili”, spiega Pietro. Trentun anni, frequenta un dottorato in Studi Urbani all’università Roma Tre. Anche lui vive nell’ex questura e fa parte del comitato. 
La situazione del Quarticciolo non è un caso isolato, al contrario si inserisce in una cornice che viene spesso identificata erroneamente come ‘emergenza abitativa’. Lo sbaglio sta nel considerare emergenziale una questione che è invece strutturale. “E’ dal 1980 che non c’è un vero piano di edilizia residenziale pubblica a Roma”, evidenzia Pietro, cui fa eco Alessia: “Roma è la prima città europea per ‘emergenza’ abitativa. Qui la casa è un bene di lusso”. E’ l’intervento istituzionale a essere emergenziale: ogni dieci anni circa, una sanatoria regolarizza la posizione degli occupanti. Un’operazione che non soddisfa i bisogni reali né guarda in prospettiva. Intanto le liste per le assegnazioni si allungano. “Non sarebbe più sensato convertire in case popolari i molti stabili pubblici vuoti?” chiede Alessia, sottolineando l’evidente inefficienza di una politica miope quando non speculatrice: in contemporanea alla sanatoria dello scorso febbraio “circa 7000 alloggi popolari sono stati messi in vendita, soprattutto per coprire i debiti di Ater, commissariata da circa dieci anni”.
A Roma sono circa 57mila le famiglie senza una casa: 200mila persone. Quasi 12mila500 sono rientrate nella graduatoria per la casa popolare, ma le assegnazioni sono state solo 178. I dati, diffusi dal dipartimento Urbanistica del Comune di Roma, si riferiscono al 2019, pre-coronavirus. Se vivere in condizioni del genere non è semplice, doverci passare un lockdown è ancora più difficile. Senza contare chi ci ha dovuto fare una quarantena.
“Ho lavorato cinquant’anni, mi merito un po’ di riposo decente, non in una casa che ti casca addosso”, afferma Adriana, settantenne romana, mentre ascolta preoccupata le parole del presidente Conte. E i pensieri aumentano di fronte al comportamento delle istituzioni: di ristrutturazioni si parlava già nel 2018, ma alle parole non è seguito nulla. “Con pazienza abbiamo aspettato, ci siamo aiutati tra noi. La misura è colma. Non possiamo passare un altro lockdown così”, denunciava lo scorso ottobre il comitato.
A dicembre finalmente sono partiti i lavori. Il comitato ha ottenuto la garanzia che tutti gli inquilini torneranno nelle case di via Ugento, senza aspettare le riassegnazioni degli appartamenti. Eccetto i nuclei numerosi, trasferiti in quartieri vicini: “Una condizione posta per assicurare continuità ai percorsi scolastici e di vita delle persone”, sottolinea Pietro.
“Si occupano le case perché non ce ne sono abbastanza per tutti. Vogliamo che il patrimonio pubblico invece di essere svenduto sia messo a disposizione. Vogliamo affitti a seconda delle possibilità. Tutti abbiamo diritto alla casa, a una residenza, ad avere nelle vicinanze servizi educativi e sanitari di qualità”.
Con questo in mente, dopo l’importante vittoria delle ristrutturazioni il comitato è già al lavoro: in programma c’è l’apertura di una Casa di Quartiere. Sorgerà di fronte a via Ugento, nell’ex bocciofila: un progetto di risanamento per cui l’amministrazione dovrà finalmente smaltire il tetto in amianto, e in cui convergeranno tutte le attività informative, il doposcuola, la palestra. "Perché diritto all’abitare – afferma Pietro - non vuol dire solo avere un appartamento in cui non piova dal soffitto, ma avere le stesse opportunità di realizzarsi ovunque si nasca”.


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